Ambientato a Pietra Alta, un quartiere periferico di Torino, L’unico finale possibile di Paola Cereda (Bollati Boringhieri) racconta di una coppia di trentenni, Leonardo e Gioia che si ritrovano a ospitare un ragazzino senegalese, Momo. Gioia l’ha incontrato a Casa Aperta, la struttura per emigrati in cui lavora. Lui dormiva in strada, non parlava italiano, era sporco e affamato; lei, dopo aver provato a indirizzarlo verso una comunità per minori. decide di portarselo nella casa di cinquanta metri quadri in cui vive con il suo compagno Leo. La storia di Momo, che somiglia a quella di oltre sessantamila ragazzi africani, che lasciano i loro paesi con il miraggio di diventare calciatori in Europa, è quella di una spaventosa truffa: finti procuratori si fanno pagare da famiglie poverissime per assicurare ai loro figli un futuro nel mondo del calcio; la maggior parte di loro, una volta arrivata in Europa, viene abbandonata a sé stessa. Momo sente di aver tradito le speranze della madre, e nonostante l’affetto e il sostegno di Leo e Gioia, lontano da casa è un ragazzo spezzato: oltre al valore narrativo L’unico finale possibile ha un forte contenuto di denuncia sociale.